La Mia Storia

Luca Fontani - Ritratto NO BG

Fontani, quando uscirai da scuola e dovrai farti comandare dal tuo datore di lavoro che ti potrà licenziare quando vorrà, vediamo se continuerai ad essere sempre così polemico!

Non si preoccupi, perché tanto il proprietario dell’azienda sarò io.

Sogna, sogna… ed ora, fuori!

EEro in seconda superiore quando il seguente scambio di battute avvenne tra me e la professoressa d’inglese pochi attimi prima di essere buttato fuori dalla classe.

Di solito tutti ricordano i tempi della scuola come anni felici e pieni di momenti di gioia e spensieratezza.

Gli anni in cui i problemi, con il senno di poi, erano insignificanti.

Io, invece, salvo per le amicizie che strinsi, quegli anni, li ho sempre odiati.

Mi ricordo ancora quelle interminabili giornate nelle quali mi distraevo continuamente e nelle quali scrivevo sul mio quaderno piani estremamente ingenui, improbabili, ed anche illegali, per fare soldi.

Mi sentivo di perdere tempo e volevo fare altro, ma purtroppo, ero in trappola.

Finalmente però, dopo essere stato bocciato un anno perché passavo le mie giornate più fuori dalla classe che dentro, dopo essere stato sospeso perché scappai dall’hotel nella gita dell’ultimo anno, e dopo troppi “Ha le capacità ma non si impegna“, “Se solo fosse meno polemico…“, “Se la smettesse di copiare ed iniziasse a studiare…” alla fine, mi diplomai.

Con un miserabile 63/100.

Nonostante avessi, per un intero decennio della mia vita, contato i giorni perché tutto ciò terminasse il prima possibile, nel momento in cui mi tolsero le catene e mi lasciarono libero di volare, il senso di vuoto, d’incertezza e di paura, fecero capolino nella mia vita.

Lei si era diplomata con 100/100 ed era già stata ammessa alla Bocconi, loro due faranno Ing. Aerospaziale direttamente alla Nasa, lui ha ereditato lo studio di architettura di successo di suo padre, lei è arrivata prima su 192.837 ad un concorso per entrare a medicina a Siena…

…e poi c’ero io, la quale unica certezza che avevo era quella di voler diventare milionario, comprarmi la Ferrari, il jet privato, e non avere nessuno che mi dicesse cosa avrei dovuto fare nella vita.

Armato di buona volontà, coraggio e di tanta ingenuità, decisi che avrei iniziato il tutto partendo dalla città di Firenze.

Mi ricordo ancora, quando poco dopo aver comprato i biglietti del treno, fermarmi a guardare le rotaie e pensare:

Ho detto a tutti che ce la farò, ma in realtà non so cosa io stia realmente facendo; speriamo che tutto vada per il meglio…

E fu così, che con questo pensiero, partii cullato da un mix di eccitazione, paura e pressione; il tutto accompagnato dalla musica che suonava in cuffia e dai paesaggi che scivolavano via veloci attraverso il finestrino…

Mentre scrivo queste parole, tra l’altro, mi rendo conto che se nella vita vuoi avere successo e disgraziatamente lo dici pure ad alta voce, hai appena creato la ricetta per un disastro; perché durante le prime fasi, quando di solito tutto va male, non ti dispiace tanto perché non ce la stai facendo, ma perché avevi detto a tutti che ce l’avresti fatta e sai benissimo che potrebbe andare tutto storto.

Vi ricordate quando Luca diceva che sarebbe diventato un imprenditore di successo? Ora è disoccupato a casa e non ha mai combinato niente. Io lo sapevo!

Ecco, quell’esatto pensiero mi ha sempre fatto più paura del non farcela.

Essere deriso da tutte le persone che non avevano creduto in me e sentirle dire, con il senno di poi, ” Te l’avevo detto! “, è sempre stato il vero problema.

Il giudizio altrui è una brutta bestia.

Ho pagato molto caro il fatto di aver detto ad alta voce quali fossero i miei piani e di aver sparato, fin dai primi momenti, molto in alto con le aspettative; ho vissuto i primi anni in cui ho iniziato il mio percorso, in cui tutto è andato storto, con una pressione addosso che sarebbe stata in grado di schiacciare anche il più solido dei diamanti.

Ma andiamo in ordine ed iniziamo la storia da dove iniziai a costruire l’impero di cui parlavo a tutti: un tristissimo call center nella periferia di Firenze, in un anonimo e grigio palazzo, dove si vendevano abbonamenti della Vodafone.

Mi bastò il primo giorno di lavoro per capire che avrei dovuto trovare una via d’uscita il più in fretta possibile; niente fisso, guadagnavi a provvigione sulla vendita e, per completare il quadretto della depressione fatta lavoro, devi sapere che “il capo” era una cinquantenne delusa dalla vita.

Mi ricordo ancora che prima d’iniziare mi diedero un foglio con uno script da ripetere ad ogni chiamata, ma purtroppo, fin dalla prima telefonata, mi sentii subito falso e non naturale a ripetere delle frasi banali scritte da un’altra persona.

I giorni passarono e dopo centinaia e centinaia di chiamate, nemmeno una vendita.

Zero.

Stavo andando a lavoro a mie spese, a fare un lavoro deprimente da cui non guadagnavo niente, nel quale venivo mandato a quel paese ogni 34 secondi.

Sapevo benissimo che quella non era la strada per arrivare dove sarei voluto arrivare.

Non ero finito fuori strada.

No.

Ero proprio caduto giù da un dirupo per poi impantanarmi in una palude.

Preso dallo sconforto, decisi quindi di evocare il genio della lampa del ventunesimo secolo: internet.

Ordinai tre o quattro libri per imparare a vendere al telefono, me li studiai tutti in un paio di giorni sull’autobus, e dopodiché decisi di affidarmi all’istinto e di fare a modo mio; buttai il foglio con lo script e mi misi in testa che avrei provato a vendere con le mie parole e con la mia personalità.

Peggio di come già stava andando non sarebbe potuto andare.

Iniziai a testare le mie idee usando come metro di misura quante volte in una chiamata venivo mandato a quel paese ed anche dopo quanti nano-secondi dal momento in cui aprivo bocca, le persone mi riattaccavano in faccia.

Ad un certo punto, visto che tutto era vano, esordii una chiamata con uno sconfortante ma sincero:

Buongiorno, sì, lo so che mi odierai perché proverò a venderti un abbonamento telefonico di cui non hai bisogno, ma devo farlo.

La signora sorrise e mi disse:

Hai 5 minuti per convincermi.

E ora che devo fare?– pensai

A questo punto della chiamata non ci sono mai arrivato!

Così decisi di dire tutti i pregi e tutti i difetti di quello che stavo cercando di venderle ed ancora oggi, non so se per pena o perché effettivamente feci un buon lavoro, riuscii a fissare un appuntamento con un venditore che si sarebbe recato sul posto.

Scoprii due giorni dopo che la signora era un’imprenditrice di Rimini che aveva comprato 250 sim aziendali.

Il venditore che chiuse la vendita dal vivo mi chiamò felicissimo per ringraziarmi, dato che probabilmente gli pagai l’IMU per i dieci anni successivi.

Ed io?

Bè, mi ero appena ripagato l’abbonamento dell’autobus, quei panini tristi che sapevano di muffa comprati al bar di fronte al centralino, ed i libri che avevo acquistato online.

Un gran successo, direi.

La Ferrari la vedevo, sì, ma con il binocolo girato al contrario: piccola ed in lontananza!

Da lì in poi capii che dovevo fare come volevo ed iniziare a chiamare facendo tutti i test possibili; dopo un mese, da solo, vendevo quanto tutte le dieci persone che lavoravano all’interno del centralino.

Però non riuscivo a superare, viste le provvigioni da fame, più di 1.200 € / mese.

Essendomi reso conto di essere diventato estremamente bravo a vendere a freddo al telefono, pensai:

E se invece di vendere abbonamenti aziendali per la Vodafone, vendessi qualcosa di mio?

Ma cosa?  mi domandai

Non avevo un prodotto e non avevo un servizio.

Oggettivamente non sapevo fare niente.

Quindi decisi che ogni volta che sarei tornato a casa da lavoro avrei studiato come costruire siti web su WordPress.

Dopo circa dieci giorni di studio avevo già acquisito le basi per fare siti web basilari ma funzionali.

A quel punto, quindi, visto che non avevo un euro (e dato che l’unica cosa che al momento sapevo fare era vendere al telefono), decisi di provare a vendere siti web.

Venditore Vodafone al telefono di mattina, venditore di siti web al telefono di pomeriggio.

Quello fu l’inizio della lunga scalata verso dove sono arrivato oggi. (nonostante la Ferrari sia, purtroppo, ancora lontana)

Feci un abbonamento su Skype che a 10€/mese mi permetteva di chiamare illimitatamente tutti i fissi in Italia; andai così sul sito delle Pagine Gialle e decisi che avrei iniziato a chiamare a tappeto tutte le micro-imprese di un settore da me scelto.

Iniziai con i ristoranti.

Costruii cinque bozze di siti che avrei poi adattato ogni volta che avrei venduto, così da non dover creare un sito web da zero ogni volta.

Decisi di venderli a 250€ l’uno (una miseria) e, per fare in modo di massimizzare i guadagni senza andare ad incidere sul cliente, decisi di iscrivermi al programma d’affiliazione di HostGator, che mi pagava, ogni volta che qualcuno comprava un server tramite me, 100 €.

Quindi, ricapitolando: 250 € per sito, più 100 € pagati dalla compagnia di hosting.

Presi il mio portatile ed iniziai…

Non so se fu la fortuna del principiante, ma dopo circa due ore che chiamavo, vendetti il mio primo sito web ad un ristorante a Firenze.

350 € in due ore.

Già vedevo il lontananza il jet privato e l’attico a New York.

Feci il sito web in un paio di giorni, venni pagato e lo consegnai.

Dopodiché il proprietario del ristorante, visto che il prezzo che gli feci era nettamente inferiore alla qualità del sito web che gli costruii, decise d’invitarmi a cena per ringraziarmi.

Oltre alla cena stupenda, mi portò così tanto vino che avrebbe potuto, in tranquillità, far ubriacare un plotone di soldati Moldavi alti 2,30 metri l’uno.

19 anni, 350 € in tre ore di lavoro, cena offerta, e bevvi pure di qualità.

Quella sera andò bene.

La mattina dopo andai nuovamente in quella prigione grigia e per tutto il giorno non feci altro che pensare a quando sarei uscito così da poter provare a vendere un nuovo sito web; ovviamente provai a sfruttare le chiamate del centralino per vendere i siti, ma il capo se ne accorse subito.

Venni scoperto!

Ovviamente continuai imperterrito, ogni volta che tornavo a casa, a chiamare; dopo circa due settimane iniziai a vendere, di media, un sito web ogni tre giorni.

Avevo già guadagnato di più che in un mese di centralino lavorando nel dopolavoro.

Decisi quindi di licenziarmi e dedicarmi full-time alla vendita di siti web al telefono.

La serie di vendite continuò, ed ovviamente, avendo più tempo da dedicargli, iniziai ad ottenere degli ottimi risultati.

Scoprii che – me lo ricordo ancora – ogni 112 chiamate effettuate, di media, vendevo un sito web.

Considerando che chiamare a freddo è snervante, soprattutto per uno orgoglioso come me che non ama farsi mandare a quel paese per 111 chiamate di fila, dovetti escogitare un metodo per tenermi motivato: se di media, ogni 112 chiamate, vendevo un sito che mi avrebbe fatto guadagnare 350€, questo significava che, ogni volta che avrei fatto partire una chiamata, avrei guadagnato 3,12 €; il tutto, indipendentemente dal fatto se mi avessero mandato a quel paese oppure no.

Considerando che molte chiamate duravano dieci secondi, tutto ciò mi sembrava accettabile.

Continuai imperterrito e dopo qualche mese mi trovai con una bella cifra a cinque zeri in banca.

A quel punto, però, avevo iniziato a realizzare due cose piuttosto urgenti:

  • Nonostante riuscissi a guadagnare tranquillamente, di media, circa 2.500 € al mese, vendere sito web non era quello che avrei voluto fare (oltre al fatto di non avere pazienza per lavorare con gente a caso che mi chiedeva di cambiargli il colore del sito web ogni due giorni);
  • dopo pochi mesi di lavoro ero già arrivato alla mia massima produttività mensile e non avrei potuto guadagnare di più.

No bueno. Dovevo inventarmi qualcosa.

Decisi quindi di fare il mio primo investimento e di aprire una società con un una persona che a suo tempo reputavo un amico…

(hai già capito che fine farò…)

Unimmo i nostri soldi e comprammo due limousine; due Lincoln bianche, usate.

21.000 € a limousine, buone condizioni.

(le limousine svalutano tantissimo e puoi comprarle usate ad una miseria; una Fiat Panda full-optional, nuova, costa di più)

Ora, quando iniziammo, nessuno dei due pensò a tutta la parte del marketing; in qualche modo eravamo convinti che le persone ci avrebbero chiamato autonomamente per affittare le nostre macchine.

Ovviamente, una volta arrivate le macchine e finita l’euforia del momento, ci chiedemmo:

E adesso? Cosa dobbiamo fare?

Non avevamo né i soldi per pagare qualcuno che potesse aiutarci con la parte pubblicitaria, né sapevo dove trovare una persona del genere; a questo punto, quindi, decisi che mi sarei occupato io di tutta la parte relativa al marketing e che il mio socio avrebbe pensato alla parte logistica e a quella della contabilità.

Iniziai quindi a comprare libri, a leggere su internet in alcuni forum inglesi, ed iniziai così il mio percorso nel campo del marketing.

Ciò che nacque come un’esigenza per poter far decollare la mia attività, negli anni seguenti si trasformò nella mia passione e professione.

Ma torniamo alle limousine…

I primi mesi riuscimmo a sopravvivere per miracolo, poi, con il tempo, i miei sforzi iniziarono a portare i primi risultati: le campagne pubblicitarie iniziarono a funzionare, il sito web iniziò a portare traffico, le collaborazioni strette con discoteche e hotel iniziarono a farsi sentire.

Nel giro di pochi mesi ci stabilizzammo ed iniziammo non solo ad andare a pari con le spese, ma iniziammo ad avere degli utili decenti; quando iniziai questa avventura ero eccitato dal fatto di avere delle limousine e dal fatto di poterci guadagnare, ma poi, nel momento che i soldi iniziarono ad arrivare, mi resi conto che non mi interessava più delle limousine ma che ero diventato ossessionato da tutta la parte del marketing e dalla psicologia umana.

Adoravo passare le giornate a fare modifiche al sito web, a stringere accordi con persone, e ad investire soldi in pubblicità…

Ero diventato padre, ma senza avere un figlio.

Dopo un po’ divenne letteralmente un’ossessione: iniziai a spendere praticamente tutto quello che guadagnavo in corsi o libri. (mi ricordo ancora quando comprai un’intera collana di corsi di Jay Abraham che mi venne a costare quanto un mutuo)

Delle limousine e di quell’attività non me ne fregava più niente; volevo fare di più, volevo mettere mano in aziende più grandi, volevo fare altro.

Ora, non so se quello che sto per dirti sia solamente una giustificazione razionale per dirti che venni fregato dal mio socio o se perché in fondo, un po’, ci credo veramente… 

Ad un certo punto, il destino decise di intervenire: mi resi conto che durante i mesi passati, colui che consideravo “mio amico”, nonché mio socio, aveva preso, di nascosto, diverse migliaia di euro dalla cassa dell’attività; ed io, che nella mia ingenuità mi fidavo e non controllavo mai, mi resi conto di essere stato fregato.

Avevo lasciato a lui la parte amministrativa ed io mi ero focalizzato totalmente a far girare le macchine il più possibile; nella mia testa, ingenuamente, non avevo nemmeno pensato alla possibilità che avrebbe potuto fregarmi.

Mi sentii un imbecille.

Quando me ne accorsi ci rimasi malissimo e, nonostante i suoi tentativi di riallacciare il rapporto, mi resi conto che non ci sarebbe stato nessun modo per riparare al danno fatto.

Non mi fidavo più.

Decisi, quindi, dopo averci pensato a lungo, che non avrei voluto più avere a che fare né con lui, né con le limousine.

Lo presi come un segno del destino.

Meglio che io perda 20.000 € oggi anziché 200.000 domani – mi ripetevo continuamente per sentirmi meno idiota

Presi tutto come una gran lezione di vita.

Non solo ero stato fregato, ma nel corso dei mesi successivi, quando andai ad analizzare a mente fredda ciò che era successo, mi resi conto che io e lui avevamo un’etica ed un’inclinazione differente per quanto riguardava la gestione di un’attività commerciale.

Io volevo re-investire quasi tutto in pubblicità per crescere più velocemente possibile, lui, no. (ed anche per evitare di pagare troppe tasse, dato che le spese di marketing sono deducibili al 100%)

Io vedevo quella piccola cosa che avevamo messo in piedi come un figlio da dover crescere, lui come un bancomat da cui ritirare soldi.

Scoprii amaramente che quando si parla di quante persone debbano essere a capo di un’azienda, una non è mai abbastanza, ma due sono sempre troppe.

Una volta uscito dall’attività mi resi conto di essere ritornato al punto di partenza e di non aver più niente di concreto in mano.

Tutto volatilizzato.

All’inizio mi prese lo sconforto e mi chiesi se mi facesse voglia di iniziare nuovamente a fare qualcosa per conto mio…

Ma chi me lo fa fare?  mi domandai

Devo inventarmi nuovamente qualcosa da fare, pianificare una strategia, andare dal commercialista, aprire tutto, per i primi mesi vedere come niente funzioni, deprimermi, e poi, forse, se tutto andrà bene, avere dei ritorni… 

Preso dallo sconforto, ma soprattutto bloccato totalmente perché non sapevo in che settore buttarmi, rimasi qualche settimana a pensare e ad assistere ai litigi tra Me e Me Medesimo.

Me era sempre positivo, estremamente ambizioso, e tendeva sempre a sottovalutare le difficoltà che si sarebbero presentate.

Lui era il sognatore.

Me medesimo, invece, era quello negativo; invece di cercare soluzioni ai problemi, tendeva ad ingigantirli; invece di aiutare Me, cercava sempre di ostacolarlo, insinuando in lui dubbi ed insicurezze che spesso erano completamente infondate.

“Potrei lanciare un e-commerce…” 

“Per vendere cosa?”

“Ok, non lo so. Che ne dici se aprissi un ristorante?”

“Non sei nemmeno in grado di far bollire l’acqua, dove pensi di andare?”

“Hai ragione. Questa però ti piacerà: creo un network di eventi per organizzare feste che nessuno avrà mai visto!”

“Vorrei ricordati che non ti piacciono i posti affollati, che sei asociale, e che…”

“Cosa? Che c’è?”

“Non voglio insultarti…”

“Di cosa parli?”

“Del tuo difetto più grande…”

“Che sarebbe?”

“Che sei vegano!”

“Va bene, questa te la concedo, però ascolta. Qui non puoi darmi torto: visto che sono diventato decente a vendere, potrei buttarmi in qualche settore pieno di soldi ed ultra-competitivo come quello assicurativo…”

“Sei rasato a zero, hai un piercing al naso, e hai 20 anni. Nessuno affida i propri soldi ad uno che a prima vista sembra uno spacciatore di cocaina…”

“Ok, allora cosa mi proponi di fare?”

“Manda il curriculum a quelli del MacDonald così la finiamo con questo teatrino”

“Mai! Vedrai che ce la farò! Ed il giorno che succederà ringrazierai D’Io per essere parte di me”

“Tranquillo, quel giorno non giungerebbe nemmeno se tu avessi a disposizione cento vite…”

” Allora io vivrò all’infinito… “

” Quanto sei sciocco… “

In quelle settimane pensai ai tempi passati e a quanto volessi la libertà totale sul cosa poter fare della mia vita.

Pensavo che avere infinite scelte fosse sinonimo di libertà, invece, in modo totalmente inaspettato, mi resi conto che ciò che chiamavo libertà, mi aveva incatenato.

Immaginati un pianoforte.

Ora però immaginatelo, invece che con 88, con un numero infiniti di tasti.

A primo impatto sembrerebbe una cosa stupenda.

Pensa a quante melodie potrebbero essere composte! – uno penserebbe

Poi arriva il giorno che devi sederti davanti a questo pianoforte dai tasti infiniti per inventarti una melodia.

Ne componi una.

Bella, ma secondo me, tra tutti questi tasti infiniti, c’è sicuramente una nota che la farebbe suonare ancora meglio – pensi

Ti metti alla ricerca di questa nota e la trovi, però dentro di te, sai che se continui a cercare, ne troverai sicuramente un’altra migliore.

Decidi nuovamente di iniziare la tua ricerca e ne trovi un’altra, ma, non ancora soddisfatto/a, continui a scorrere tra i tasti per trovarne una nuova.

Ti eri seduto/a davanti ad un pianoforte per comporre la melodia più bella che il mondo avesse mai sentito, ma finisci per ritrovarti a sprecare il tuo tempo per trovare la nota perfetta – che in realtà non esiste – e con un nulla di fatto in mano.

Decisi quindi di sedermi a quel pianoforte da 88 tasti che avevo tanto odiato e mi chiesi:

Ho molto poco a disposizione; come posso creare una melodia che mi piaccia?

 

Non importava che fosse la migliore che potessi creare; avevo bisogno di iniziare da qualche parte o l’angoscia mi avrebbe inghiottito vivo.

Sul tavolo avevo diverse carte: una rappresentava la voglia di fare, l’altra l’ambizione e poi, tra le varie cose concrete che sapevo fare, ero diventato piuttosto bravo a vendere e nel gestire la parte marketing e digitale delle attività commerciali.

Perché parli di attività commerciali? Alla fine hai applicato le tue conoscenze solamente alla tua società che affittava limousine…  potresti volermi chiedere

Mentre avevo le limousine, collaborai con altre aziende, aiutandole a sviluppare piani marketing e digitali che funzionassero; ognuna di loro ottenne risultati soddisfacenti e mi chiesero di collaborare con loro, ma io, non avendo abbastanza tempo per dedicarmici, rifiutai sistematicamente tutte le volte.

L’esperienza ce l’avevo, ed i risultati, anche se non strabilianti, pure; quello che mi mancava era trasformare ciò che amavo in una professione.

E lo feci.

Un anno e mezzo dopo aver iniziato e già collaboravo con una media di sei o sette aziende italiane al mese, tutte in settori differenti. (ristorazione, SaaS, consulenza, agenzie…)

La mia carriera era inarrestabile; niente mi avrebbe potuto fermare.

Questa volta ero solo al comando e nessuno avrebbe potuto distruggere il mio futuro.

Arrivai al punto di dover rifiutare clienti perché non riuscivo a seguirli ed iniziai ad ottenere diverse belle soddisfazioni. (economiche e non)

Tutto andava a gonfie vele ed io ero felicissimo perché stavo facendo ciò che mi rendeva felice.

Mi ricordo ancora l’ultima trattativa che stavo per concludere: ero stato contattato da un’azienda toscana molto importante perché volevano seguissi loro, a livello strategico, una campagna pubblicitaria per lanciare un nuovo prodotto.

Ovviamente, però, come in tutte le trattative in cui si parla di cifre e responsabilità notevoli, c’è sempre bisogno di contatti multipli per definire, ed infine siglare, l’accordo.

Eravamo tutti soddisfatti.

Mi ricordo ancora, mentre tornavo a casa in macchina, quel misto di felicità endorfinica e quella tensione adrenalichina tipica di chi sta per concludere qualcosa di positivo per la propria vita…

In quel momento mi squilla il cellulare e, guardando sullo schermo, vedo che mio zio mi stava chiamando; non vedevo l’ora d’informarlo di ciò che avevo appena fatto.

Risposi al cellulare per condividere con lui come questo ultimo tassello mi avrebbe permesso di raggiungere, professionalmente parlando, una stabilità che niente e nessuno mi avrebbe più potuto portare via.

Rispondo.

Luca!– esclamò mio zio con una voce tremolante, stranamente preoccupata, e con un tono di voce allarmato

Ohi, tutto bene? Che succede? – chiesi

Tua mamma ha fatto un incidente in macchina…   mi disse con una voce che non prometteva niente di buono

Ti prego, dimmi che non si è fatta niente… – chiesi immediatamente

Il silenzio che cadde in quella chiamata stava per schiantarsi anche nella mia vita.

Ma ancora non lo sapevo.

Quel sole che ero riuscito ad accendere nella mia quotidianità si spense nel tempo di un sospiro, trafitto da una lama nascosta, estremamente affilata, e così gelida da far venire i brividi al più rigido degli inverni.

Non solo quel giorno persi la persona più importante della mia vita, ma persi anche l’unica persona che non dubitò mai di me e delle mie ambizioni, e che durante tutto il mio percorso, mi sostenne sempre e comunque.

Perché mi stai raccontando questa cosa così personale? – potresti volermi chiedere

Per il semplice fatto che questo evento, purtroppo, segna il punto esatto dove persi nuovamente tutto ciò che avevo costruito e dove toccai la parte più bassa della mia esistenza; sia emotivamente, sia professionalmente parlando.

Se osservi un paesaggio naturale ed incontaminato, i cambiamenti avvengono nel corso dei decenni: gli alberi cambiano, dove c’era un fiume, si forma un lago, e così via.

Tutto muta lentamente ed in maniera impercettibile all’occhio.

Ma quando in una città scoppia una centrale nucleare, l’ambiente viene completamente stravolto nel giro di pochi istanti: c’è il prima, e c’è il dopo Chernobyl.

E nella mia vita, ci sono due capitoli ben distinti: quello prima, e quello dopo l’incidente.

Ciò che successe quando persi la mia attività precedente, se paragonato a ciò che mi accadde dopo quella chiamata, fu letteralmente uno scherzo.

Passarono i mesi senza che io me ne accorgessi.

Se prima venivo cullato dalle endorfine, dall’adrenalina, e dal sole caldo sul viso, in quel periodo della mia vita mi cullavo tra antidepressivi, alcolici e gelo.

Quell’incidente non aveva solamente portato via una persona; mi aveva portato via anche quel fuoco vivo che mi ardeva dentro.

Se prima potevo bruciare con il mio entusiasmo le persone che avevo attorno, dopo, l’unica cosa che riuscivo a far prendere fuoco, era la sigaretta che mi accendevo prima di andare a letto.

Continuarono a passare i mesi e nulla cambiava.

L’unica cosa che riuscivo a fare con costanza era di svegliarmi tardi tutte le mattine, rimanere a fissare per decine di minuti il soffitto, e pensare:

Sto buttando via la mia vita…

Percepivo il mio tempo scorrere via come l’acqua in un fiume, e potevo sentire, ogni volta che ero sveglio, il suo fruscio sussurrarmi che il mondo stava andando avanti, mentre io rimanevo fermo a fissare il soffitto.

E me lo ricordava ogni santissimo giorno.

Sto perdendo tempo; sono un fallito. – mi ripetevo costantemente

Mi sentivo in trappola; volevo respirare ma non c’era ossigeno.

Volevo, ma non potevo.

Ed oltre a non riuscire più a respirare, mi resi conto che senza ossigeno non riuscivo più ad accendere il fuoco che bruciava dentro di me.

Non capivo cosa fare.

Ero bloccato.

Se dopo un po’ mi abituai al fatto che fossi rimasto solo, non riuscivo ad abituarmi al fatto di essere sprofondato in un abisso del genere.

Mi ero messo l’anima in pace per l’incidente, ma non ero disposto a metterla in pace per me stesso.

Su mia mamma ci avevo messo un punto, ma per quanto riguardava la mia vita, avevo usato un punto e virgola.

Lo avevo fatto per non scordarmi mai che avrei dovuto continuare a scriverla, la mia storia.

Il vero dramma era che avevo perso la penna e non la trovavo più.

Da un certo punto in poi la mia vita era diventata una frustrazione giornaliera data dal fatto che non riuscivo più a riprendermi; le provavo di tutte e niente funzionava.

Non avevo più voglia di fare niente.

L’entusiasmo non sapevo più cosa fosse, e la voglia di fare mi aveva abbandonato.

Lo faccio domani – era diventato il motto della mia vita

La voglia di tornare a vivere mi aveva abbandonato.

Nonostante fossi finito dritto dritto all’inferno, ciò che non sapevo era che ne sarei uscito vivo, e che il fuoco che avevo perso, non solo sarebbe tornato ad ardere, ma che lo avrebbe fatto in maniera più intensa e consapevole di prima.

Mai avrei immaginato che da un posto così infernale ne sarei uscito con uno dei doni più grandi che la vita mi abbia mai regalato.

All’inizio, quando il mio mondo iniziò a collassare su sé stesso, pensai che da questa spirale ne sarei uscito con le mie forze, ma la vita, ancora una volta, volle insegnarmi  che ci sono momenti, in cui da solo, non ce la fai.

Senza che io chiedessi niente, l’aiuto, arrivò.

La mia ex ragazza aveva un sogno: voleva aprire un’azienda di successo nel campo della nutrizione.

Ora, onestamente a me non è che come settore facesse impazzire, ma, visto che ero mezzo depresso e che non avevo niente da fare con il mio tempo, decisi di aiutarla.

Ci mettemmo seduti ad un tavolo e facemmo un business plan al volo; le idee iniziarono a travolgermi come un fiume in piena.

Non mi interessava di quell’azienda, non era un progetto che mi entusiasmava, eppure, dentro di me, qualcosa stava succedendo.

Il fatto di essermi appoggiato al sogno di una persona a cui tenevo, in qualche modo, aveva risvegliato una parte di me che era rimasta dormiente per più di un anno.

Seguii l’istinto e continuai; creai il sito web, tutta la presenza online, le automazioni via email, la struttura che avrebbe avuto il nostro sistema di vendita e mi ritrovai, in una sola settimana, con un piccolo diamante in tasca.

Mi resi conto che avevo lavorato per una settimana intera e che l’avevo fatto volentieri; avevo provato nuovamente cosa significasse essere ossessionati per qualcosa di bello.

Provai nuovamente cosa significasse andare a letto e non vedere l’ora di svegliarsi per continuare, l’indomani, a lavorare a ciò che non fossi riuscito a terminare il giorno stesso.

Quello per me valse tutto.

Capii che forse, quel bagliore che vedevo, era effettivamente la luce in fondo al tunnel.

Decisi di fare un test ed investii così 5.000 € in pubblicità su Facebook; guadagnammo indietro poco più di 5.000 €.

Ok, non funzionò – starai pensando

Riprendemmo a malapena i soldi investiti.

Quello che in realtà io volevo capire con quel test, era se il prodotto che avevamo avrebbe potuto funzionare. (e se ci sarebbe stato un mercato che avrebbe assorbito la nostra offerta)

Considerando che stavamo partendo da zero, senza che nessuno ci conoscesse, con un sistema di vendita, una strategia, una presenza online, ed un prodotto tutti completamente da sviluppare, lo ritenemmo comunque un successo.

Raccolsi tutti i dati, analizzai le campagne, capimmo dove avremmo potuto implementare il prodotto, aggiustammo il tiro, e poi riprovammo.

Altri 5.000 € investiti, ma questa volta ne facemmo, nel giro di una settimana, quasi 8.000 €.

Iniziarono ad arrivare i primi feedback delle persone che avevano comprato ed erano tutti estremamente positivi; la quasi totalità di loro ci chiedevano un programma ad abbonamento mensile.

Ancora una volta analizzammo il tutto, implementammo la strategia, e ci ritrovammo, dopo circa un mese, a fare un altro test…

Questa volta investimmo 10.000 €.

Li raddoppiammo.

A quel punto capimmo che l’attività avrebbe avuto un potenziale enorme e quindi decidemmo di spostarci a Malta per aprire la nostra attività là.

Dopo mesi di problemi con le banche e con le autorità dell’isola, aprimmo finalmente l’azienda a Malta e la Holding a Londra.

Da quando partimmo a quando sfiorammo quasi 60.000 € di fatturato, di cui 45.000 € di utili, passarono soli quattro mesi. (avevamo solo le spese pubblicitarie e da pagare i server del sito web; i nostri costi erano bassissimi)

Tutto procedeva alla grande, ed io avevo tra le mani un’azienda dal potenziale immenso; avevamo appena iniziato, vendevamo in tutto il mondo, ed era possibile scalare l’azienda fino a raggiungere utili surreali senza dover investire in infrastrutture e personale.

Un sogno.

Dopo un po’, però, mi resi conto che mi mancava la realtà delle consulenze, lo scrivere di marketing, e tutto il mondo ad esso annesso.

Nonostante guadagnare bene mi piaccia, mi appaghi, e mi faccia sentire realizzato, dopo un po’, quando diventa fine a sé stesso, inizio ad annoiarmi.

Dopo tante notti passate ad interrogarmi sul da farsi, ripensai a tutto ciò che avevo passato, e decisi quindi che avrei lasciato la metà dell’azienda e che sarei tornato a fare quello che amavo.

Mi ero reso conto di essere arrivato ad un livello dove riuscivo a generare utili, a volte importanti, a volte meno, in qualsiasi progetto che volessi seguire, quindi decisi, dopo tutte le lezioni che la vita mi aveva dato, di tornare a fare ciò che amavo veramente.

Oramai avevo dimostrato a tutti che ce l’avevo fatta, ma soprattutto l’avevo dimostrato a me stesso.

Avevo camminato scalzo sui carboni ardenti dell’inferno e ne ero uscito vivo; con qualche cicatrice, sì, ma tutto d’un pezzo.

A quel punto capii che era arrivato il momento di riprendere da dove avevo lasciato e di dedicarmi nuovamente al mondo del fare impresa e al marketing.

Questa è la mia storia, ed il fatto che adesso tu la conosca, alla fine, la rende anche un po’ tua.

Grazie ed un abbraccio,

Luca Fontani

P.S. In realtà, il vero motivo per cui ho scritto tutto ciò, è uno ed uno solo: perché spero che un giorno la mia professoressa d’inglese – colei che dubitò di me all’inizio del racconto – legga questa pagina e pensi:

Luca aveva ragione, io, torto

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